Carne della mia carne nasce essenzialmente da due stimoli, da due riflessioni. Una sociologica l’altra biografica.
Se mi affaccio alla finestra vedo il mondo che mi circonda come una grande vetrina; tutto viene messo in mostra, svelato. Tutto è nudità. Tutto passa dalla fame di vedere e far vedere! La saturazione e l’esasperazione degli eventi hanno creato un nuovo linguaggio; sono il nuovo Vangelo. La sofferenza, il disagio della persona è carne nuda messa in vetrina, tralasciando forme di pudore e rispetto che fino a pochi anni fa erano inviolabili. La politica, il confronto non è più sulle idee o appartenenze né tantomeno su ideologie e dietrologie annesse; è carne dozzinale. Tutto è carne e sangue se possibile. Tutto viene fatto a pezzi, vivisezionato, giudicato e bruciato quanto prima per far posto al nuovo pezzo di carne già caldo da buttare sul banco.
Allora nella mia esplorazione ho voluto ricercare una “carne” che potesse rappresentare altro; qualcosa di antico che fosse legato a storia, cultura, tradizione; una carne dove la mano dell’uomo incide, taglia, brucia, colpisce e strappa con arte e sapienza. Solo in apparenza può sembrare brutalità. Scelgo di utilizzare questa carne come simbologia perché sembra esattamente tutto quello che accade nella vetrina del mondo ma qui viene fatto con una autenticità e ritualità secolare che trovo più potente di qualsiasi “verità moderna”.
In ultimo la mia esplorazione ha permesso di accedere a qualcosa di autobiografico che si era perso nelle curve della memoria, quando da bambino vedevo mio nonno, saggio contadino, affilare ad una pietra stretta e lunga dei coltelli e alla mia domanda sul perché facesse quell’azione la sua risposta era ” domani si ammazza il maiale ! “. Non capivo né vedevo, anche se avvertivo intorno a me un aria di evento, quasi di festa.
Per tutto questo la definisco “carne della mia carne” e riconosco vera.
L’autore